Accolto il ricorso del Senato relativo alle intercettazioni disposte e utilizzate nel “caso Esposito”
La Corte costituzionale ha accolto il conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato sollevato dal Senato contro la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Torino, il Giudice per le indagini preliminari e il Giudice dell’udienza preliminare del medesimo Tribunale, in relazione all’attività di intercettazione che ha coinvolto, nell’ambito di plurime indagini, Stefano Esposito, Senatore nella XVII legislatura.
Con la sentenza n. 227 del 2023, depositata oggi (red. Stefano Petitti), è stato dichiarato che non spettava alle autorità giudiziarie che hanno sottoposto ad indagine e, successivamente, rinviato a giudizio Stefano
Esposito, disporre, effettuare e utilizzare intercettazioni rivolte nei confronti di un terzo imputato, ma in realtà univocamente preordinate ad accedere alla sfera di comunicazione del parlamentare, senza aver mai richiesto alcuna autorizzazione al Senato della Repubblica.
Secondo la sentenza, il carattere “mirato” dell’attività di indagine deve essere ricavato dalla «decisiva circostanza» per cui, nei confronti del parlamentare, emergono «specifici indizi di reità che si traducono nella richiesta di approfondimenti investigativi».
In particolare, la Corte costituzionale ha precisato che indici quali l’abitualità dei rapporti tra il parlamentare e il terzo intercettato, il numero delle conversazioni e la loro prevedibilità, nonché la loro proiezione nel tempo, possono non essere da soli sufficienti a qualificare il parlamentare come bersaglio effettivo delle indagini. Ad assumere un peso determinante in tal senso è, piuttosto, l’effettivo e sostanziale coinvolgimento del parlamentare tra gli obiettivi delle indagini. Laddove, infatti, tale coinvolgimento del parlamentare «si traduca – indipendentemente dall’acquisizione dello status di indagato – in indirizzi investigativi chiaramente e univocamente rivolti ad approfondire la sua eventuale responsabilità penale», esso contrassegna la correlata attività di intercettazione come rivolta ad accedere alla sua sfera di comunicazioni e, pertanto, bisognosa dell’autorizzazione preventiva ex art. 4 della legge n. 140 del 2003.
Nel caso che ha dato origine al conflitto, la Corte ha ritenuto che tale effettivo e sostanziale coinvolgimento dell’allora senatore Esposito emerga chiaramente a partire dal 3 agosto 2015, data nella quale il contenuto delle conversazioni intercettate viene per la prima volta fatto oggetto di «spunti investigativi meritevoli di approfondimento». All’avvenuto mutamento degli obiettivi dell’attività di indagine, convalidato anche da provvedimenti adottati a seguire e dalla successiva iscrizione del parlamentare nel registro degli indagati, si riconnette quindi l’illegittimità dell’acquisizione e dell’utilizzo delle intercettazioni successive al 3 agosto 2015 in quanto avvenuti senza che sia mai stata richiesta, dall’autorità giudiziaria procedente, l’autorizzazione preventiva prescritta dall’art. 4 della legge n. 140 del 2003.
Le intercettazioni disposte ed effettuate prima del 3 agosto 2015 sono invece da qualificarsi come “occasionali”, con la conseguenza che non potevano essere utilizzate nei confronti di Stefano Esposito senza l’autorizzazione successiva richiesta dall’art. 6, comma 2, della medesima legge.
In applicazione del diverso principio affermato dalla Corte nella sentenza n. 170 del 2023, è stata altresì accertata l’illegittimità dell’acquisizione agli atti di indagine, in data 19 marzo 2018, dei messaggi WhatsApp, indirizzati a (o prevenienti da) Stefano Esposito allorquando egli ricopriva ancora il mandato parlamentare, estratti dalla copia forense delle comunicazioni contenute nel dispositivo di telefonia mobile di altro indagato: messaggi per i quali sarebbe stata necessaria, ai sensi dell’art. 68, terzo comma, Cost. e dell’art. 4 della menzionata legge 140/2003, una preventiva autorizzazione della Camera di appartenenza, costituendo essi corrispondenza, il cui sequestro nei confronti di un parlamentare è, appunto, condizionato alla previa autorizzazione.
Per effetto dell’accoglimento del conflitto di attribuzione proposto dal Senato nei termini indicati, la Corte costituzionale ha annullato, limitatamente alla posizione di Stefano Esposito, la richiesta di rinvio a giudizio formulata dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Torino il 29 luglio 2021 nell’ambito del procedimento penale n. 24047/2015 R.G.N.R. e il decreto che dispone il giudizio, adottato dal Giudice dell’udienza preliminare il 1° marzo 2022 in relazione al medesimo procedimento.